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domenica 27 gennaio 2013

Il Pierfurioso


di Mariaserena Peterlin

“Zitto, stai zitto!” borbottava Rosy
ner mentre Pierluiggi infervorato
dal palco fuoco e furmini mandava
contro chiunque avesse mai attaccato
l’integra, onesta e pura conduzione
der partito senza rifondazzione.
“Zitto che fai? immagina se invece,
a tua insaputa quarche malandrino
invece d’esse puro e immacolato
se fece venì voja der quattrino
e tra le pieghe de l’operazzioni
c’entascò na cartata de mijoni.”
“Io destra e lega l’ammazzo e me le magno!”
tuona Piggì feroce e intemerato
“A cchi? parla piano, che te magni?”
sibilava quarcuno alle sue spalle
“te magnerai le mano a tua insaputa
vacce più calmo, nun so’ rogne primarie
sbancato er banco, qui so’ finanziarie.”

domenica 20 gennaio 2013

Mazzabubù quante destre ci stanno quaggiù


di Mariaserena Peterlin

La Meloni candidata
col Crosetto è  apparentata,
poi c'è il Fini col Casini
e di Monti fratellini
ma non basta! Il Berlusconi
s'è rimesso gli speroni
e zompando ancora pensa
di portar qualcuno a mensa
Ma non manca Oscar Giannino
(di Landru pare il cugino)
che vestito in scozzesino
vuol sembrare un damerino.
Anche il Grillocinquestelle
va sgonfiando le rotelle
di Camusso e di Bonanno
anche se... fa poco danno!
Rimaneva il digiunante
dalla chioma ormai lampante,
ma l'offerta di Starace
anche a lui davver non spiace.

A 'sto punto l'italiano
col cerin rimane in mano
guarda invano alla sinistra
ma se pur Bersani insista
se non brucia quell'agenda
tira un'aria da tregenda.
Chiedo allor... Mazzabubù
quante destre stan quaggiù?

La tassa infuria
lavoro manca
qualcuno rischia
la scheda bianca?

Forse per caso
ma non per noia
dimenticammo
la lista Ingroia…


giovedì 17 gennaio 2013

Stornelli elettorali



di Mariaserena Peterlin


Fior de Nannini
Bersani canta l’Inno ai cittadini
e j’arisponde Sirvio ripittato
“tu canta che tr’ npo’ te ciò fregato”

Fior de Bocconi
dice che pure Monti l’ha votato
e l’italiano: “Adesso che l’hai detto
dicce pure chi è che te c’ha mannato!”

Fiore d’Italia
‘na volta sventolavi er tricolore
adesso sventolamo Silvio e Monti
e se stamo a magna ‘l grasso del core.

Fior de Sinistra
sei diventato uguale al centro destra
quanno annamo a votà metto l’occhiali
li guardo tutti e me parono uguali.

domenica 13 gennaio 2013

Teresa la vispa, è pronta la lista


di Mariaserena Peterlin


E la Cancellieri 
avea tra l'erbetta
al volo sorpresa
la lista sospetta

E tutta giuliva
un po' si scherniva
ma poi rispondeva
"qualcun se l'è presa...

ma non vi fa male!
E che ve ne cale?
Io veglio e controllo
e vo' al protocollo"

Ghignava incazzato
il grillo ingrassato
"Sta attenta ministro
il fatto è sinistro!"

"Sinistro o di destra?
E' stessa minestra"
Rispose in sua vece
il monti sagace.

E questa è la storia...
ad amara memoria...






Fratelli d'Italia
l'Italia sta fresca
col logo ed un nome
e si va alla minestra

Cos'è questa storia ?
Chi vuol la poltrona
arriva qui a Roma
e la lista portò.

Si strinsero a morte
son pronti alla corte
si misero in fila
col logo ed il nom

Tra Grillo e le stelle
le Ingroia son belle
e la Cancellieri
il pugno mostrò!

martedì 8 gennaio 2013

Fallisce la Richard Ginori: piatti rotti e i cocci della memoria


di Anna Lombroso

Anche se veniva tramandato di madre in figlia non c’era lista di nozze che non annoverasse quel bel servizio per gli sposi, completo, con le raviere, le tazze per il consommé, le mezzelune per l’insalata, le sontuose e capaci terrine e certe scodelline di incerto impiego, che però non dovevano mancare in una casa come si deve. Oculate, le suocere raccomandavano di “stare sul classico”, intanto dotarsi dell’Antico Ginori con tutta quella teoria di plissé che correva sull’orlo, così che se uno si rompe lo si ricompra, che Ginori non finisce mai.

Ma le promesse spose, in quei grandi felpati negozi, dove servizievoli direttori erano pronti a consigliare per il meglio con voci soavi e ragionevoli, quando percorrevano quei soffici tappeti, quando si fermavano a ammirare quei tavoli da esposizione con la mise en place, come facevano a resistere a quelle cineserie o a quelle turcherie, a quei “candori” così sottili da virare sull’azzurro trasparente, come facevano a non farsi incantare dall’opulenza massiccia di certi fregi imperiali? E il direttore pronto a dire, ma è giusto, perché non concedersi un capriccio, che poi è un investimento e da una tavola ben allestita con eleganza e ricchezza vengono altra ricchezza e prestigio.

Dietro certi muri alti e severi, quel prestigio si conservava e trasmetteva, dentro grandi armadi chiusi a chiave e si accumulava ad altre ricchezze. In case più vive, in famiglie più numerose e spericolate, dopo qualche inizio all’insegna della tutela, quando il servizio buono si metteva in tavola solo alle feste comandate, via via invece le pile alte si impoverivano, si scivolava in una dègringolade inarrestabile verso lo scompagnato e alla fine nella vetrinetta restava la salsiera, qualche tazzina da caffè, in memoria di passati splendori.

Splendori passati e finiti, come quella vecchia fabbrica, la Manifattura di Doccia, fondata nel 1735 da un bizzarro marchese Ginori appassionato di caccia e vini, che si dice avesse dato origine alla piccola industria perché voleva dei piatti solo suoi, esclusivi, disegnati da lui per i suoi banchetti, in quella campagna allora pingue e armoniosa nei pressi di Sesto Fiorentino.
Un’azienda artigianale che poi si fonde col gruppo industriale dell’intraprendente famiglia Richard nel 1896 e diventa un piccolo impero del gusto e della tradizione italiana, alla cui leggenda contribuiscono disegnatori e artisti, creativi e artigiani sofisticati e visionari. Così, come succede per realtà così esemplari, anche questa fabbrica così “fragile” e forte suscita appetiti e passa per mani non sempre pure, Sindona, Liquigas, Pozzi, Bormioli.
E ieri, infine, la decisione dei giudici fiorentini: la Richard Ginori è stata dichiarata fallita, tra le lacrime e le imprecazioni dei 314 operai cassintegrati che avevano sperato nel successo di una cordata, quella composta da Lenox e Apulum, pronta a rilevare l'azienda e farla ripartire. I dipendenti sospettano: “la decisione del tribunale è un fulmine che induce a pensare che dietro questo fallimento ci siano dei giochi particolari", se è stato respinto il concordato che si fondava sull'affitto e la successiva vendita a Lenox-Apulum e sulla cessione dei Musei della Richard Ginori allo Stato che avrebbe permesso alla società di ricavare 23 milioni, con i quali compensare un debito tributario di circa 16.
Non si sa quali siano questi giochi, non si sa perché, unico, il creditore privilegiato non abbia ritirato l’istanza di fallimento, a suo stesso discapito, non si sa se la controproposta della piemontese Sambonet sia più vantaggiosa e abbia qualche chance, si capisce solo che è come se un patrimonio di famiglia, un gioiello di casa, una presenza familiare nel ritratto della nazione e nella sua autobiografia, un bene al quale hanno contribuito dinastie operaie qualificate e geni dell’arte applicata, si fosse spaccato come si rompe un piatto, con il rumore secco, sorprendente e crudele dell’irreparabilità.

Di beni comuni oggi si parla molto, e anche confusamente, finendo per comprendervi tante cose diverse: al primo posto non possono che esservi i beni comuni materiali naturali: terra, acqua, aria, energia. Ma bisogna cominciare a comprendere anche quelli che “fanno” l’identità storica di un Paese e di un popolo: luoghi, paesaggi, monumenti, quelli che oggi vengono considerati come un ostacolo al progresso e allo sviluppo, un lascito indesiderato del passato da superare più in fretta possibile, alienandoli e svendendoli per fare cassa, ma anche perché la mercificazione possa permeare e intridere tutte le relazioni tra individui, persone e natura, uomini e conoscenza. In modo che si sviluppi quel processo pensato per massimizzare e accumulare, sotto forma di capitale e di potere, il valore estraibile dagli esseri umani, dalla natura, dal pianeta, dal sapere, dall’informazione.
Allora forse è il momento di cominciare a pensare in termini di “bene comune” che non è una declinazione al singolare ma un approccio più completo e ideale che riporta all’interesse di tutti, alla sovranità indivisa su un patrimonio che si è ricevuto e si trasmette nella sua integrità arricchita dall’esperienza di una generazione e che passa all’altra come un messaggio di civiltà e umanità.

E di tutto questo fanno parte le fabbriche, quelle di auto come quelle che da 200 anni producono oggetti entrati nelle storie familiari di tutti, fanno parte il lavoro, la fatica di chi ha creato e costruito, girato torni e alimentato i forni e il loro caldo e il loro freddo, con le loro capacità e i loro talenti,quel loro tornare a casa la sera e mangiare una minestra in un piatto di ceramica un po’ sbeccato e bere dal fiasco.
Ieri sera aprendo il grande armadio antico, lucido per via di quella cera profumata ma anche perché la sera spegnendo le luci prima di andare a letto ci passo le dita e lo accarezzo perché è un pezzo di casa, di care memorie, ecco, ieri aprendo le grandi ante me li sono guardati quei piatti ben allineati come un esercito di ospitalità e accoglienza, di feste e di stare intorno a un tavolo parlando piano in giorni tristi, quelli candidi, leggeri e quasi trasparenti come conchiglie o quelli appena offuscati dalla patina degli anni, con quel bordo trionfale blu e oro, le grandi zuppiere nelle quali hanno nuotato succulenti tortellini tra le gocce goduriose del brodo, i lunghi piatti ovali dove si impigrivano pesci grigi e rosei ammantati di maionese, o l’alzatina dei marrons glacè.

Aprendo l’armadio, guardando i miei piatti sui quali vorrò per sempre mangiare con l’uomo che amo, con le mie bambine cui andranno un giorno, magari meno numerosi, ma tanto Ginori ci sarà sempre, insieme ai miei amici, ho pensato alla mia fortuna di aver conservato oggetti che parlano con le voci del passato, le risate, i no e i si, i non ho voglia e ho fame, quelle conversazioni come una musica felice o malinconica del passato, con i suoni di quella fabbrica e del lavoro di tanti, le loro lotte, la loro fatica per darci quella domestica antica bellezza. No, non si rompe la nostra storia come un piatto, perché la felicità che ci spetta non è solo pane, ma bellezza della memoria e del futuro.