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sabato 15 dicembre 2012

IL CAFFE' DELLE BEFFE - Polli, polle e spennati


di Mariaserena Peterlin


Mi nonna era na donna

Mi nonna era ‘na donna d’artri tempi,
ma libera eppoi serva de nessuno
e puro da vecchietta, er due de giugno,
metteva la bandiera alla finestra
tanto pe’ ditte “nun me sta’ sur grugno”.

Che direbbe mi’ nonna se vedesse
‘ste emancipate d’oggi, ‘ste badesse
piene d’opinionismo da contorno
che dalle fasce già scodinzolorno
puro appresso ar politico de turno?

“Olgettine, veline?” Seee magari!
Quelle danno der suo, mentre quest’altre,
sputasentenze sur mondo e dintorni
rifilano la pelle de noantri,
che abbocconi, fresconi e forse ignari

semo comunque tele_visionari.
Che direbbe mi’ nonna a ste badesse?
Ma quanto séte antiche fije belle!
Tant’anni de battaje femministe
pe’ ciancicà de quote rosa o azzurre

o questioni de ggenere e de coppia?
Stavorta ve lo dico “e poco, stroppia”.



Tuona a Roma 

E se ce fosse la giustizzia
er furmine cadrebbe paro paro
sai ndove? sulla testa del puparo
che ce rifila tasse e recessione
e ce bacchetta co' tribolazzione
dicendoce ce semo sfaticati
mentre ce fa morì mort’ammazzati




Er tacchino der giorno dopo

In un cortile, stava un ber tacchino
e cercava in fra l’erba un qual lombrico.
Tronfio e gonfio, pareva un manichino,
tra tutti se sentiva er mejo fico.

“Ma che fai che stai sempre in pompa magna?”
Disse un ciuco inquilino dirimpetto.
“Come che faccio? Ho vinto! Godo e magno”
j’arispose gonfiando er doppiopetto.

“Magna magna” rispose quer somaro
“sete scesi dar tetto a scapicollo
ma ve po’ capità un destino amaro”

“Quale destino? so bbravo! e callo callo
mo’ sciorino le piume.” Ar che er somaro…
“Pure tacchino resti sempre un pollo.”



C’era una volta il pollo

Dar pollo de Trilussa è ritornata,
(ereno belli i tempi de ‘na volta)
la favola pensata dal poeta,
ma la favola adesso s’è stravolta:

se prima uno faceva la magnata
a du polli e n’artro a pane e bieta,
mo’ che l’Italia se la so’ rubbata
t’accusano dicendo: l’hai sprecata.

Te fanno er predicozzo e er fervorino
e senza né pudore né decenza
te spremono anche l’ultimo quattrino.

Te dicheno de fa’ beneficienza
mentre tu stai pregà l’uno e trino
de trova’ er pane pe’ riempi’ la panza.

Altro che la statistica der pollo…
è ar cittadino c’hanno torto er collo.

venerdì 14 dicembre 2012

Hirschman, l'eretico

di Alberto Capece

Arriva la notizia della "scomparsa", si aprono i cassetti, si estrae il coccodrillo e via che si pubblica la sintesi di una vita che nell'occasione è sempre orientata alla benevolenza, perché i morti, si sa, sono più temibili dei vivi: questi possono essere isolati e dimenticati, ma per gli scomparsi è doveroso un epitaffio, c'è un dovere della memoria che per quanto episodica, brilla per un attimo.  Però da qualche anno, da quando è calato su questo Paese e sull'intero continente la maledizione del non pensiero unico, i coccodrilli sembrano essere diventati una ventata di aria fresca, visto che sono scritti con relativa libertà di cronaca, in una nicchia meno chiassosa e meno aggredita dalla scatola cinese di interessi personali e generali della cui tela è fatta l'informazione. Credetemi che qualcuno ne ho scritto.

Così con la morte di Albert Otto Hirshmann, pardon Hirschman, l'istinto a mettere le due enne finali, mi è quasi consustanziale, la traccia corrosa di un'antica infanzia, è come se i coccodrilli di carta avessero messo i denti i denti per mordere la stupidità contemporanea. L'economista, sociologo, filosofo, ancorché rappresentato come esponente del pensiero liberale, aggettivo e sostantivo divenuti ormai odiosi per il fatto di rappresentare spesso il contrario di ciò che vorrebbero indicare, è in realtà un radicale contestatore del pensiero economico, sia nell'attuale ortodossia che negli istinti di fondo.

Il suo approccio alla società non è mai univoco, va da economia a storia, da sociologia a psicologia ed è sempre consapevole della complessità al contrario dell'economia che invece tenta di seguire una sua strada di scienza newtoniana, come presa da "un invidia della fisica" che la spinge a cercare leggi certe laddove ci sono tendenze e sicurezze assolute dove ci sono solo opinioni. E questo non può non colpire in un'epoca nella quale gli economisti fanno un uso della matematica come velo e schermo, vuoi della banalità, vuoi della sostanza politica e sociale del loro argomentare.

Questo ci porta all'altra critica fondamentale di Hirschman all'economia contemporanea: quella di essere ossessionata dall'equilibrio, cioè dal presupposto che tutti gli eventi abbiano un in sé un feedback che li riporti sulla linea mediana: è da qui che sostanzialmente nasce la fede del mercato come grande riequilibrista e la devozione nella "immancabile ripresa" di cui purtroppo dobbiamo ascoltare le orazioni, a volte sincere, molto più spesso fasulle e indirizzate a scopi politici. Hirschman al contrario ritiene che la semplificazione formale nasconda il fatto che i fenomeni non hanno affatto l'equilibrio supposto o sperato e che l'evoluzione economica è sempre indeterminata  e possibile in diverse direzioni. Se ci ostina a parlare di scienza, è più la quantistica che la fisica classica della relatività galileo-newtoniana ad essere un orizzonte possibile.

Le due critiche possono apparire parallele, ma non collegate. Al contrario l'istinto dell'economia di apparire come scienza al pari di quelle fisiche, che viene consustanziato con l'uso sovrabbondante di matematica e di algoritmi spesso presi da altre discipline e si può vedere bene come la mania dell'equilibrio sia strettamente correlata: si evitano di prendere in considerazione i processi dinamici che ovviamente sono fortemente influenzati dalle condizioni iniziali, per cui una minima differenza porta ad esiti completamente diversi. Per esempio tutti i modelli di analisi e previsione finanziaria si basano sui metodi del matematico francese Louis Bachelier, nati per lo studio dei moti browniani e poi da lui stesso applicati alla finanza, visto che discendeva da commercianti e banchieri. Questo metodo prevede che le variazioni dei prezzi siano statisticamente indipendenti, per cui il prezzo di un qualsiasi titolo resta irrelato rispetto a quello di ieri e a quello di domani. E' un metodo matematicamente potente per certe operazioni, ma nasconde totalmente la dinamicità e la relazione tra gli eventi "prezzo" e oltretutto rende statisticamente irrilevante la probabilità delle crisi economiche che avvengono appunto in maniera dinamica.

Se ci chiediamo perché la crisi attuale non sia stata prevista o se ansiosamente aspettiamo che finisca, bè questi sistemi non sono in grado di dare una risposta, semplicemente perché essi presuppongono un equilibrio statistisco che possiamo tranquillamente ritrovare tra i moti delle particelle microscopiche in una goccia d'acqua, ma non negli eventi umani. Ma naturalmente un principio di indeterminazione negli eventi economici potrebbe spazzare via l'ipotesi di un mercato che si autoregola e di conseguenza anche la necessità di affidarsi al mercato

Insomma Hirschman non è stato un rivoluzionario, ma ci mette in guardia contro chi ci vuole considerarci alla stregua di batteri o pollini, quando invece siamo uomini e siamo in grado di scegliere dove andare. Di certo lontano da agenti patogeni dell'umanità.


domenica 9 dicembre 2012

Epistemologia della porta


di Licia Satirico

Si dice che alcuni posti siano la porta dell’inferno. E se l’inferno fosse solo la porta? Non mi riferisco alla metafora del passaggio, ma proprio a quel singolare aggeggio in legno o vetro, con o senza maniglie, che tutti troviamo sulla nostra strada più volte al giorno. Più spesso siamo noi a trovare la porta, ma senza le giuste informazioni per affrontarla: ecco alcune forme di manifestazione del manufatto ostile e le indicazioni per prevenirne l’eventuale comportamento deviante.

La porta mimetica è una non porta, realizzata per dissimulare la sua vocazione di transito. Con la complicità degli architetti si nasconde perfettamente tra la boiserie, nelle tappezzerie imbottite e in mezzo a densi drappeggi di tessuto austero. Si tratta di un classico caso di mimetismo criptico offensivo: è una strategia evolutiva per ingannare la preda durante l’avvicinamento, solo che la preda siete voi. Si calcola che il numero di predazioni riguardi di norma la metà degli individui, almeno una volta nella vita. Secondo un’ardita tesi minoritaria il mimetismo portale nascerebbe a fini selettivi della specie, per agevolare nei superstiti l’individuazione della porta passivo-aggressiva mediante il contatto carnale tra essa e la vittima.

La porta a vetri è una variante bastarda della porta mimetica: si caratterizza per l’invisibilità a occhio nudo e per la sfrontatezza del tratto. Esistono porte a vetri colpose, che incrociano il tuo cammino senza volerti fare del male (solo che le disegnano così e tu non le vedi), e porte a vetri dolose con tendenza omicida. In quest’ultima ipotesi, se pensi che una fotocellula segnalerà per tempo il tuo passaggio, la porta a vetri resterà chiusa. Se speri invece che la porta resti chiusa per non morire assiderato, si aprirà di colpo.
La porta ipocrita è un’altra parente stretta della porta mimetica. Si presenta come porta, ma non porta da nessuna parte: la si imbocca e si finisce d’un tratto in uno sgabuzzino delle scope o in una cantina a strapiombo. Leggi statistiche dimostrano che il fenomeno si riscontra con frequenza direttamente proporzionale al numero di persone che vi sta osservando.
La porta scorrevole aggredisce le prede avvolgendole e soffocandole nelle sue spire. Il suo moto perpetuo, tuttora inspiegabile, è dovuto a una forma di bulimia. La porta scorrevole è sempre alla ricerca di prede lente, impacciate, con bagagli o pacchi. La fine è rapida e dolorosa: questa porta amputa, tritura, sminuzza e schiaccia tutto ciò che finisce nel suo territorio di caccia. Molto diffusa nell’emisfero boreale, la porta scorrevole è una specie adattabile che si rinviene in numerosi habitat: alberghi, uffici pubblici, negozi e persino edifici privati. Si sussurra che, essendo femmine, le porte scorrevoli depongano uova nel corpo delle vittime, che semineranno a loro insaputa altre porte scorrevoli per molti anni a venire.

Altrettanto diffusa è la porta a sorpresa: è una porta algebrica che combina insieme materia e antimateria, con variante scalino/voragine. La porta a sorpresa può essere frontale, se ti fa cadere in avanti, o occipitale se ti fa cadere all’indietro: in quest’ultimo caso provvede personalmente a darti il colpo di grazia con agile movimento di ritorno. Vive nei pressi degli ascensori e dei bagni dei locali pubblici, dove prospera grazie a sensori automatici d’illuminazione affetti da disturbo bipolare.
Si sussurra che la porta dell’elfo abbia ispirato a Tolkien la figura dello Hobbit. La porta dell’elfo dà accesso abnorme a sale di dimensioni e soffitti assolutamente normali: può lasciar passare con agio solo bambini sotto i cinque anni, brunettoidi, pidiellini senza tacchi e piccoli quadrupedi. La caratteristica della porta dell’elfo è l’oblio da essa indotto: dopo averla attraversata come un ballerino di limbo, dimentichi che non è una porta normale. È così che ti dirigi verso di lei con incosciente sprezzo del pericolo: felice, ilare e loquace, vivi i tuoi ultimi istanti di allegria prima di fratturarti la calotta cranica.

La porta a porta si trova negli studi televisivi di regime. Possono attraversarla solo ex premier botulinico-lenonici, politici rampanti, giornalisti deferenti, criminologi e plastici. Come in certi water avveniristici il suo attraversamento è scandito dalla musica di Via col Vento, che però non ha mai suggerito la scomparsa del format dai palinsesti. Si estingue solo col cambio di canale. Definitivo.
La porta cortese resta sempre aperta, perché non si richiude mai più. Teme solo i fabbri, al cui cospetto torna a comportarsi come una porta normale per il tempo strettamente necessario a farvi passare per dementi. Una sua variante è la porta a soffietto, che col tempo si sgancia dall’alto verso il basso fino a scollarsi come la tendina di Psycho.

C’è infine la porta automatica, che può essere di tre tipi: silente, per tranciarti meglio, “apriti Sesamo”, se dotata di comandi vocali, e “chiuditi Sesamo”, se detta condizioni per il tuo rilascio. Tipica di banche e uffici postali, a differenza di altre specie non è priva di un suo senso dell’umorismo. Se sei sovrappeso, in stato interessante o pieno di borse, la porta automatica ti invita ad entrare uno alla volta. E mentre scopri di essere uno e bino cercando il pulsante di aiuto, la porta automatica si rivela beffarda come la vita: conosce solo le domande e non le interessano le risposte.