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venerdì 14 dicembre 2012

Hirschman, l'eretico

di Alberto Capece

Arriva la notizia della "scomparsa", si aprono i cassetti, si estrae il coccodrillo e via che si pubblica la sintesi di una vita che nell'occasione è sempre orientata alla benevolenza, perché i morti, si sa, sono più temibili dei vivi: questi possono essere isolati e dimenticati, ma per gli scomparsi è doveroso un epitaffio, c'è un dovere della memoria che per quanto episodica, brilla per un attimo.  Però da qualche anno, da quando è calato su questo Paese e sull'intero continente la maledizione del non pensiero unico, i coccodrilli sembrano essere diventati una ventata di aria fresca, visto che sono scritti con relativa libertà di cronaca, in una nicchia meno chiassosa e meno aggredita dalla scatola cinese di interessi personali e generali della cui tela è fatta l'informazione. Credetemi che qualcuno ne ho scritto.

Così con la morte di Albert Otto Hirshmann, pardon Hirschman, l'istinto a mettere le due enne finali, mi è quasi consustanziale, la traccia corrosa di un'antica infanzia, è come se i coccodrilli di carta avessero messo i denti i denti per mordere la stupidità contemporanea. L'economista, sociologo, filosofo, ancorché rappresentato come esponente del pensiero liberale, aggettivo e sostantivo divenuti ormai odiosi per il fatto di rappresentare spesso il contrario di ciò che vorrebbero indicare, è in realtà un radicale contestatore del pensiero economico, sia nell'attuale ortodossia che negli istinti di fondo.

Il suo approccio alla società non è mai univoco, va da economia a storia, da sociologia a psicologia ed è sempre consapevole della complessità al contrario dell'economia che invece tenta di seguire una sua strada di scienza newtoniana, come presa da "un invidia della fisica" che la spinge a cercare leggi certe laddove ci sono tendenze e sicurezze assolute dove ci sono solo opinioni. E questo non può non colpire in un'epoca nella quale gli economisti fanno un uso della matematica come velo e schermo, vuoi della banalità, vuoi della sostanza politica e sociale del loro argomentare.

Questo ci porta all'altra critica fondamentale di Hirschman all'economia contemporanea: quella di essere ossessionata dall'equilibrio, cioè dal presupposto che tutti gli eventi abbiano un in sé un feedback che li riporti sulla linea mediana: è da qui che sostanzialmente nasce la fede del mercato come grande riequilibrista e la devozione nella "immancabile ripresa" di cui purtroppo dobbiamo ascoltare le orazioni, a volte sincere, molto più spesso fasulle e indirizzate a scopi politici. Hirschman al contrario ritiene che la semplificazione formale nasconda il fatto che i fenomeni non hanno affatto l'equilibrio supposto o sperato e che l'evoluzione economica è sempre indeterminata  e possibile in diverse direzioni. Se ci ostina a parlare di scienza, è più la quantistica che la fisica classica della relatività galileo-newtoniana ad essere un orizzonte possibile.

Le due critiche possono apparire parallele, ma non collegate. Al contrario l'istinto dell'economia di apparire come scienza al pari di quelle fisiche, che viene consustanziato con l'uso sovrabbondante di matematica e di algoritmi spesso presi da altre discipline e si può vedere bene come la mania dell'equilibrio sia strettamente correlata: si evitano di prendere in considerazione i processi dinamici che ovviamente sono fortemente influenzati dalle condizioni iniziali, per cui una minima differenza porta ad esiti completamente diversi. Per esempio tutti i modelli di analisi e previsione finanziaria si basano sui metodi del matematico francese Louis Bachelier, nati per lo studio dei moti browniani e poi da lui stesso applicati alla finanza, visto che discendeva da commercianti e banchieri. Questo metodo prevede che le variazioni dei prezzi siano statisticamente indipendenti, per cui il prezzo di un qualsiasi titolo resta irrelato rispetto a quello di ieri e a quello di domani. E' un metodo matematicamente potente per certe operazioni, ma nasconde totalmente la dinamicità e la relazione tra gli eventi "prezzo" e oltretutto rende statisticamente irrilevante la probabilità delle crisi economiche che avvengono appunto in maniera dinamica.

Se ci chiediamo perché la crisi attuale non sia stata prevista o se ansiosamente aspettiamo che finisca, bè questi sistemi non sono in grado di dare una risposta, semplicemente perché essi presuppongono un equilibrio statistisco che possiamo tranquillamente ritrovare tra i moti delle particelle microscopiche in una goccia d'acqua, ma non negli eventi umani. Ma naturalmente un principio di indeterminazione negli eventi economici potrebbe spazzare via l'ipotesi di un mercato che si autoregola e di conseguenza anche la necessità di affidarsi al mercato

Insomma Hirschman non è stato un rivoluzionario, ma ci mette in guardia contro chi ci vuole considerarci alla stregua di batteri o pollini, quando invece siamo uomini e siamo in grado di scegliere dove andare. Di certo lontano da agenti patogeni dell'umanità.


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