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giovedì 26 gennaio 2012

L'economia che bara: il falso Nobel

di Alberto Capece Minutolo


Alle volte rimaniamo stupiti del fatto che gli economisti non riescano a prevedere le crisi, né a raccapezzarsi sugli strumenti da usare per farvi fronte e che vengano colti di sorpresa dall'irrompere di nuovi protagonisti dell'economia la cui crescita impetuosa è stata favorita proprio dalle loro ricette. In realtà la sorpresa è dovuta a un radicato pregiudizio che su fronti diversi e con diversi significati, si è affermato nel XX° secolo: che l'economia sia una scienza e come quella sia esatta e predittiva.
Niente di più sbagliato, l'economia è una branca della sociologia e più in generale delle scienze umane: può servirsi di strumenti rigorosi, e fa un uso abbondante, anzi un abuso della matematica, ma le sue possibilità euristiche, vale a dire di conoscenza reale ed efficace, dunque di predizione si limitano alle questioni più elementari o a quelle apparentemente complicatissime della modellazione matematica di flussi di borsa, che tuttavia non sono altro che un assemblaggio di problemi semplici. Inoltre i principi, diciamo le teorie che guidano tutto questo, non sono falsicabili, dunque sono frutto di speculazioni - e qui il termine ci sta a puntino - la cui consistenza è indimostrabile. Certo questi teoremi possono basarsi su linee di tendenza, possono avere una maggiore o minore coerenza con realtà fattuale, ma rimangono pur sempre delle metafisiche minori che tendono ad autoaccreditarsi.

L'origine di questo discorso nasce da una singolare occasione: il disconoscimento da parte di Peter Nobel, discendente di Alfred, del premio dato agli economisti. L'avvocato Peter non vuole che il prestigioso marchio venga attribuito a studiosi di questa discplina, visto che il suo avo lo aveva previsto solo per le scienze sperimentali come chimica e fisica, per la medicina, per la letteratura e per la pace. Il Nobel per l'economia è in realtà solo un premio istituito nel 1969 dalla Banca di Svezia con una dicitura un po' truffaldina: "premio in scienze economiche della banca di Svezia in memoria di Alfred Nobel". Insomma una specie di furto che ha portato a parlare di Nobel per l'economia, quando invece si tratta del riconoscimento istituito da una banca. Come di dire, se la cantano e se la suonano da soli.

La presa di posizione di Peter Nobel va però oltre la subdola violazione del marchio di famiglia e la proposta di conferire il riconoscimento in un giorno diverso da quello degli altri. Esprime anche un disagio culturale: "Ma qualcosa deve essere sbagliato quando tutti i premi per l’economia tranne due sono stati dati a economisti occidentali, le cui ricerche e conclusioni sono basate sul corso degli eventi in quei paesi, e sotto la loro stessa influenza. Posso immaginare i commenti sarcastici di Alfred Nobel se fosse in grado di sentire di questi vincitori. Soprattutto, aveva desiderato che i suoi premi fossero consegnati a coloro che sono stati più utili per l’umanità, tutta l’umanità!”
E l'Accademia di Svezia, in maggioranza gli dà ragione aggiungendo altre e più pesanti affermazioni: " La banca svedese ha messo un uovo nel nido di un altro uccello  e ha pertanto violato il  marchio di Nobel. Due terzi dei premi della Banca in economia sono andati a economisti americani della Scuola di Chicago che creano modelli matematici per speculare sui mercati azionari e delle opzioni – l’opposto degli scopi di Alfred Nobel per migliorare la condizione umana”.

Ed è qui che ci ricolleghiamo al discorso dell'economia come scienza: il ricorso sempre più frequente alla modellazione matematica non solo è più gradita negli ambienti accademici e alle pubblicazioni che vi fanno riferimento, ma svelano un meccanismo freudiano di auto convincimento nella scientificità della disciplina e il desiderio di radicare anche all'esterno questa convinzione. Soprattutto un profano può essere colpito da questo apparato e intimidirsi di fronte alla complessità di un sapere così rigoroso. Tuttavia non c'è nulla di più sbagliato: posso modellare matematicamente un asino che vola o i collegamenti cerebrali degli Isnut  di Glistra, pianeta della galassia di Andromeda, senza alcun bisogno che questi oggetti esistano realmente. Posso anche fare un modello matematico che descrive il mio alzarmi dalla poltrona per andare a far pipì senza che esista una scienza della minzione.
Quest'ultimo caso è il più interessante: se dovessi creare un modello matematico che descriva ogni millimetro del mio movimento verso il bagno e tutto il resto, comprese le reazioni chimiche  che si svolgono nelle fibre muscolari e in tutto il complesso fisiologico, avrei bisogno di tante equazioni che un supercalcolatore diventerebbe vecchio prima di sputare tutte le soluzioni. Quindi la mia fatica matematica, dovrà essere semplificata ed essere un sommario modello astratto. Esattamente ciò che non funziona con il comportamento umano e oserei dire in generale con i comportamenti biologici che implicano sempre qualche imprevedibilità. Quindi mi è impossibile prevedere il fatto che possa scivolare prima di raggiungere il bagno, che possa avere un calcolo che mi rende difficile la minzione, che non riesca a trattenerla e altre infinite ipotesi. La mia modellazione si attiene alla mia teoria di base che parte dall'osservazione statistica: dopo un'ora passata in poltrona gli esseri umani fanno pipì.
Non è un esempio fatto a caso:  certe modellazioni dal campo economico abbiano cominciato ad essere usate per la descrizione di qualsiasi comportamento o modo di essere. E' chiaro che in questo compito l'apparato matematico cerca solo di coprire e nobilitare pregiudizi grossolani o vaghe ideologie di fondo.

Il fatto è che i comportamenti umani sono troppo complessi, per essere ingabbiati in modelli semplicistici che cercano la reductio ad unum e la generalizzazione di interazioni complicatissime e variabili. Per cui la matematica sfornata a piene mani è spesso non un vestito, ma uno schermo per nascondere un fatto evidente: che le teorie economiche sono pensiero politico che si presenta sotto le spoglie di un'analisi rigorosa dei rapporti di produzione e di scambio.

Questo è dimostrato anche dalle antinomie  a cui i principi della sedicente scienza economica hanno portato. Gli economisti classici da Smith e Ricardo  a Marx pensavano che il valore dei beni derivasse dalla quantità di lavoro incorporata in essi. Eppure questo presupposto di base  portò da un lato a posizioni di liberismo economico e a un modello di destra imperniato, come al solito, sulla eternizzazioni di rapporti storici,  dall'altro alla radicalità invece del materialismo dialettico e al comunismo. Più tardi con l'economia neoclassica o marginalista si ritenne che la fonte del valore fosse l'utilità di un bene per ciascun individuo: si tratta di una sorta di una modellazione intellettuale per eliminare il dualismo tra valore di scambio e valore d'uso e  dare una base sistematica oltre che di calcolo alla teoria del valore. Tuttavia essa covava in sé molti fenomeni del mondo moderno, dall'atomizzazione della società, all'edonismo, dall'arroganza dell'offerta e dei grandi complessi industriali e di potere. Il marginalismo nasce come una sorta di espediente intellettuale  (è nata allora la matematizzazione dell'economia) che riflette i cambiamenti portati dalla crescita industriale e dalle pressioni rivoluzionarie: il valore di un bene non è più determinato dal lavoro incorporato in esso, ma è il valore di un bene sul mercato che determina il costo del lavoro. Ecco ciò che si vuole dire quando si osserva che il lavoro e dunque le vite delle persone sono merce, anche se merce indiretta.  E' un brandello  di sedicente scienza della nuova borghesia produttiva che di fronte alla prospettiva di una società con valori imperniati sul lavoro e sulla sua dignità, preferisce rifugiarsi nel più amichevole " mercato".  Tuttavia su questa stessa base è stato predicato l'intervento massiccio dello Stato in economia come durante il New Deal e, viceversa, il neoliberismo attuale.

Da tempo parecchi economisti fuori da questa stravagante ortodossia stanno sempre più riconoscendo la vacuità di queste costruzioni  e la necessità di riportare il pensiero economico dentro il pensiero sociale e in una interdisclipinarietà che consenta di formulare principi più consistenti. L'ultimo in ordine di tempo è il pamphlet su Time Magazine di Robet Johnson, direttore dell' Institute for new economic thinking che reclama un intenso confronto dell'economia con la realtà dei fatti, piuttosto che perseguire in astrazioni di scarso significato.

Così quando qualcuno si fa forte di necessità dettate da una scienza esatta, potete essere certi che si tratta di proposizioni politiche e ideologiche travestite da certezze. E  potete dire alla politica che, come in gioco di specchi ,si nasconde  a sua volta dietro il travestimento, che un bell'ignobel per l'economia non glielo toglie nessuno. Naturalmente anche questo è un premio istituito dalle banche.



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