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sabato 17 novembre 2012

Frecce rosse e tagliatori di teste


di Licia Satirico

Il viaggio è una categoria dello spirito, un'esperienza letteraria, un salto nel buio. Con Trenitalia si passa rapidamente da Gordon Pym a Viaggio al centro della terra, con qualche evocazione fantozziana.
La chiusura temporanea dell'aeroporto di Catania mi ha costretta ad attraversare l'Italia in treno proprio nei giorni in cui si parla di nuovo di ponte sullo Stretto, di Tav e di crescita (non si capisce se dell'economia, della crisi o dell'economia della crisi).

Son partita in una splendida mattina d'autunno, trafitta da un raggio di sole. L'inter city Reggio-Roma viaggiava in perfetto orario, travestito da Eurostar per ostentare calma, dignità e classe. Dopo Rosarno ci siamo addentrati in un paesaggio lunare: ciuffi di erba incolta, pale di fichidindia, qualche albero d'ulivo in depressione bipolare, copertoni di auto, case abusive così dirute da essere ormai in cemento disarmato. Per ammirare meglio questo panorama ci siamo fermati: dieci, venti, trenta minuti di immobilità perfetta a motore acceso. Nessuno e' stato in grado di dirci cosa sia successo, perché il controllore da quel momento e' sparito nel nulla e una parte di me e' convinta che vaghi ancora nella campagna calabra, sospeso nel limbo dei controllori senza controllo.

All'improvviso il viaggio è ripreso, mentre il treno ha accumulato quasi un'ora di ritardo. La coincidenza per Firenze e' stata a rischio fino all'ultimo, ma sono riuscita a prenderla al volo - piegata in due dallo sforzo - e a salire emozionata sul Frecciarossa dopo aver sporcato col trolley plebeo le scarpe eleganti di un passeggero smart. Ho viaggiato in classe Standard come i due terzi dei passeggeri del treno: quelli a cui Trenitalia lo scorso anno aveva inibito il transito nelle altre carrozze e l'accesso alla zona bar ristorante. La tentazione di fare un giro e' stata troppo forte. Ho scoperto così che la leggendaria classe Executive, con comode poltrone in pelle umana dal sedile reclinabile e sala riunioni arredata da sedie di design, e' tragicamente deserta, mentre le classi inferiori sono popolate da umanità varia che pare affetta da un'epidemia di autismo comunicativo: tutti parlano con interlocutori invisibili che assomigliano ad amici immaginari, nessuno chiacchiera più col suo vicino.

A volte però questa distanza siderale è un bene. Accanto a me sedeva una tagliatrice di teste. No, non era uscita da Jack London o da Jack the Ripper: era un'addetta alle risorse umane e si occupava della selezione del personale, predisponendo moduli per la valutazione dei lavoratori e per il loro eventuale congedo. Mi è venuto un groppo al cuore, ma il treno era talmente affollato che non sono riuscita a cambiare posto. Sono andata in giro tra i vagoni, irrequieta come il controllore smarrito nella campagna calabra varie ore prima. Il Fecciarossa Standard era pieno di professori arrabbiati con Profumo e con la Gelmini: nella solidarietà tra colleghi ho trovato conforto dal viaggio e dai compagni occasionali in vena di licenziamenti choosy.

Il viaggio di ritorno non è stato da meno: ho rischiato, ancora una volta, di perdere il treno per la Calabria Saudita a causa di un guasto del Frecciarossa su cui avevo prenotato un posto. Cambiare treno e' un'impresa quasi impossibile, anche dichiarandosi disposti a pagare supplementi o differenze: l'utente Standard frequenta i treni ad alta velocità a suo rischio e pericolo, e se il treno non arriva sono fatti suoi. Non è tanto per dire: giovedì pomeriggio, sul Torino-Roma, un passeggero ha avuto un infarto ma il treno non si è fermato, perché l'alta velocità non prevede malori né soccorsi. Prima di prendere uno di questi treni è meglio sottoporsi a opportuni esami cardiologici.

Fatti i debiti scongiuri e constatato il mio decoroso stato di salute, son salita da poco sul treno per casa. I passeggeri sono diversi: non più ganzi in carriera né selettori del personale ma signore assonnate, coppie anziane piene di bagagli, accorti calabresi con sporte olezzanti di cibo untuoso e sapido. Nessuno di noi ha orologi in vista: il tempo non è poi una dimensione così importante, specie se viaggi verso la punta estrema della penisola. Si narra di viaggiatori dispersi a causa dei ritardi e mai più ritrovati, di altri che sono scesi addirittura ringiovaniti portando sottobraccio un loro ritratto vecchio e laido. Ci sono poi quelli che viaggiano in treno per l'emozione di vedere lo Stretto di notte, l'acqua oscura che ospita i riflessi di città parallele che un ponte potrebbe solo dividere. E tra quelli ci sono anch'io.

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