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lunedì 17 ottobre 2011

Le preghiere "quotidiane"


di Anna Lombroso

A volte i nostri quotidiani sembrano il salotto della signorina Felicita. Oggi tra il rosolio e i fondant Ferruccio de Bortoli come un volonteroso chierichetto ci intrattiene sul ruolo dei cattolici nella nostra società.
Co la carne se frusta l’anima se giusta si dice dalle mie parti. E dopo Scalfari, giustificato dalla data di nascita, (Della Loggia è senza età) anche il direttore del corriere è investito da una senescenza virtuosa ancorchè accelerata. Così vuole fare proseliti della convinzione che per la ricostruzione civile e morale che non sarà possibile senza un diverso e rinnovato impegno politico dei cattolici. E senza un dialogo più stretto, fuori dagli schemi storici, dei cattolici con gli eredi delle tradizioni liberale e riformista.

Ecco io nutro invece la modesta convinzione che i cattolici di fronte alla società debbano prima di tutto rinnovare il loro impegno di cittadini, fuori dalle chiese e dai confessionali. Che non si deve manifestare solo o non soltanto prendendo le distanze dalle gerarchie ecclesiastiche conniventi con quelle plutocratiche. E non si tratta solo di esigere il pagamento dell’Ici o la condanna di comportamenti illegali oltre che immorali. Significa invece esercitare, anche loro, la laicità come componente irrinunciabile della democrazia, per esigere da se stessi e dagli altri il rispetto per la libertà di scelta, di espressione, di inclinazione, di vita e di morte, oltre che di credo.

Si non basta, quando c’è, una abiura dall’amoralità dei governanti - mai abbastanza pentiti benché assolti- o una condanna dei vizi privati diventati simpatiche e esplicite abitudini pubbliche, né tantomeno l’esercizio lodevole della carità e della beneficenza spesso sostituti non altrettanto desiderabili di accoglienza e equità. Si “esigerebbe” da cittadini tra altri cittadini, proprio da loro, così fortunati da rispondere a una autorità morale più identificabile del nostro personale arbitrio, che “esigano” il rispetto della dignità, le garanzie per diritti della persona, di tutela dall’illegalità che è sempre prevaricatrice sui più deboli.

Viene da chiederlo con più insistenza e proprio a loro perché vivono un privilegio, quello esaltato ed esibito di possedere e fare riferimento a un contesto morale innervato da principi di pietas oltre che di uguaglianza, di ascolto oltre che di compassione, di solidarietà oltre che di identità sociale. E per questo dovrebbero uscire dall’equivoco, rispondendo con criterio alla domanda di una società civile che sta perdendo l’orientamento, dando risposte civili e non confessionali. Un percorso faticoso certo, ma obbligatorio, soprattutto se grazie alla loro fede rivendicano una qualche “superiorità” .
La permanenza o il dichiarato ritorno della religione o delle religioni non ha portato con sé un significativo recupero di pratica confessionale di massa, ma piuttosto il moltiplicarsi di interventi anche mediatici delle autorità religiose. E non registra la diffusione o l’arricchimento della cultura religiosa ma una enfasi del soggettivismo religioso. Per questo l’impegno che si vorrebbe dai credenti è per un incremento del rispetto delle convinzioni e dei comportamenti dei laici quanto dei loro, pena un distacco sempre più profondo dalla vita e dai valori degli altri.

Nella vita democratica la discriminante fondamentale tra i cittadini non deve essere tra chi crede e chi non crede ma tra chi riconosce e garantisce la pluralità delle visioni e degli stili morali di vita e viceversa chi dichiarando intrattabili i propri valori impone una sua “cultura” e dei suoi principi, avvalendosi di una maggioranza parlamentare e auto qualificando un primato etico di capisaldi obbligatori. Di non negoziabili in democrazia ci sono solo i diritti fondamentali al primo posto dei quali si deve collocare la pluralità dei convincimenti. E quindi la libertà delle differenze.
Se ci deve essere il ethos comune deve essere quello della cittadinanza in regime di libertà: se non si deve essere indifferenti ai problemi della povertà, delle discriminazioni sociali, dell’immigrazione, non si deve essere insensibili a quelli delle unioni di fatto o omosessuali, della fecondazione assistita, dell’eutanasia. E non c’è credo altrettanto autorevole e forte che possa imporre una segmentazione dei diritti o peggio una loro gerarchia, per trasformare in norme di legge le sue indicazioni dottrinali.
De Bortoli cita Angelo Bagnasco, il presidente della Conferenza episcopale, che in previsione dell’incontro di oggi a Todi ha lanciato il suo slogan «Né indignati, né rassegnati», parlando della necessità di creare un «nuovo soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica che sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni».

E ricorda Roberto Cartocci quando che «la tradizione cattolica appare come il collante più antico, il tratto più solido di continuità fra le diverse componenti del Paese», aggiungendo da parte sua “ non solo: è portatrice di una cultura inclusiva, che non divide e frantuma la società”.
Si benevolmente fingo che una affermazione così spericolata sia da attribuire alla paura dell’inferno. Ma consiglierei un pellegrinaggio al divino amore, una bella camminata verso Santiago de Compostela o magari farsi prestare il cilicio dalla Binetti, piuttosto che una così perversa e aberrante mistificazione. Se, a secoli di distanza da crociate e inquisizione, ogni giorno l’invasività della chiesa occupa le nostre vite secolari, le nostre esistenze di laici, le nostre convinzioni di cittadini come se la molteplicità delle visioni della vita, le diverse concezioni del bene, o della natura umana fossero delle iatture, delle disgrazie pubbliche e degli attentati a un’etica obbligatoria, la loro.
I credenti protestano che non possono adagiarsi in un passivo rispetto dell’edificio di leggi e norme istituzionali e secolarizzate, perché l’impegno alla diffusione di quella verità di cui si sente testimone è costitutivo della sua identità. Ma i cittadini laici o credenti che siano non devono tollerare che la testimonianza evangelica occupi e impieghi strumentalmente gli apparati politici, istituzionali e giuridici, che diventano ostaggi gregari e condizionati. L’ethos comune consiste nella comunanza di regole condivise, nel confronto di convincimenti, in una libertà sempre rispettosa delle libertà altrui. E nella ricerca della felicità in terra cui sarebbe disumano rinunciare in vista della salvezza eterna. O no?

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