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sabato 1 ottobre 2011

Viva Barbarossa

di Alberto Capece Minutolo

Lo confesso: fin da bambino, sui banchi delle elementari, partecipavo poco all'afflato che le maestre cercavano di inculcarmi sull'epopea dei Comuni e sulla loro lotta contro l'impero. Un po' forse per ataviche vicende familiari e un po' perché disponendo di una buona libreria casalinga avevo appreso che la celeberrima battaglia di Legnano gli uomini della Lega Lombarda erano assai più del doppio degli imperiali e tuttavia stavano perdendo: solo l'imprudenza di Barbarossa, che si gettò in mezzo alla mischia, finendo disarcionato, creò sgomento fra le sue truppe che perciò si dispersero facendo arridere la vittoria ai milanesi.
Così da allora e nonostante le poesie patriottiche che mi venivano inflitte, Alberto da Giussano cominciò a starmi antipatico. Non che fosse un'ossessione, ma ogni giorno passavo davanti a un altro capitolo di quella lunga lotta, davanti a Palazzo Re Enzo, chiamato così perché vi fu tenuto prigioniero Enzo, figlio dell'imperatore Federico II di Svevia, catturato durante la Battaglia di Fossalta nei pressi di Modena.

Allora queste vicende venivano presentate come una specie di prodromo e di anticipazione del Risorgimento, anche se nella mia testa infantile continuavano a chiedermi perché mai questi eroi con i loro spadoni volessero unirsi contro lo Straniero ( si diceva così prima che si inventasse la parola extracomunitari che ne ha recuperato un po' il senso, ma soprattutto il ridicolo) per poi continuare a far parte di borghi e città fortificate con relativi contadi e lande separate se non ostili. Ma erano tempi quelli in cui si portava in classe l'obolo per la  Croce Rossa senza alcun sospetto che potesse essere rapinato dalla famiglia Letta e ricordo che ebbi delle crisi di coscienza perché un anno parte del contributo umanitario finì in un godurioso e irresistibile ciokorì. Insomma non era concepibile che ti dicessero qualcosa di non vero, che ti depistassero, che forzassero le cose. Del resto 2 più 2 faceva effettivamente 4 e io per analogia attribuivo questa magica proprietà intransitiva della verità ad ogni cosa  di cui le maestre parlavano.

Tutto questo mi è tornato alla mente con un sussulto di incredulità quando da adulto ho assistito alla nascita della Lega, alla creazione del simbolo con Alberto da Giussano e all'invenzione della Padania. Nel frattempo avevo appreso altre cose e cioè che i Comuni si ribellavano a Barbarossa non tanto per non pagare qualche obolo, ma principalmente perché volevano estorcere al Sacro romano impero il diritto di dichiararsi guerra fra di loro, di bastonarsi e fare razzie senza nessuno intervenisse come arbitro. In questo modo il simbolo con lo spadone del mio omonimo da Giussano, contraddiceva l'essenza stessa della Padania, anche se non un logica tutta italiana per cui ci si alleava al fine di potersi dichiarare nemici.

E c'è di più: questa ribellione in nome di una sorta di anarchia localistica, di campanile e di feroci interessi contrapposti  contraddiceva l'idea dell'impero come luogo dell'universalità civile, la rinnegava in favore di quella che Dante nel De Monarchia chiama concezione ierocratica del potere elaborata dalla Chiesa, la quale troverà la sua solenne e finale affermazione con la bolla papale Unam Sanctam del 1302. Una concezione che sul piano politico si traduceva nella ricerca della divisione, nel tentativo di impedire la nascita di realtà troppo forti, nel fomentare gli interessi locali e di parte contro l'idea della  ricerca della felicità terrena (Dante anticipa di parecchi secoli la costituzione americana con questa espressione) che è invece lo scopo del Sacro romano impero, erede della globalità e universalità di quello romano. Certo i termini della questione vanno inquadrati nel mondo feudale, ma la sostanza è chiara: nelle divisioni, si esprime un potere grettamente teso a interessi immediati, si esprimono gli egoismi di parte, in quello imperale la possibilità di  un' armonia universale.

Paradossalmente la Lega ha scelto eroi ed epopee in totale contrasto con l'idea stessa di un'unità padana che infatti non si è mai realizzata, anzi ha conosciuto le più profonde divisioni, ma di quegli eventi ha scelto come propria mentalità fondante non le libertà comunali che non coincidevano affatto con la libertà dei cittadini, semmai con la legge delle oligarchie dominanti, ma quella dei piccoli egoismi di parte, la meschinità della chiusura localistica, l'esclusione sistematica del "forestiero" e la tradizione simil ierocratica, ormai automatica e fasulla come collante. E poco importa se a tessitori e vasai chiusi dentro le loro corporazioni si sono sostituite le partite iva e le microaziende familiari: il medioevo è lo stesso.

Ecco perché dico viva Barbarossa.






1 commento:

  1. Mi piace tantissimo il tuo articolo! Anch'io ho riscontrato da grande che il mio fiuto di bambina non si sbagliava, anche se mi sentivo in colpa se non provavo quell'entusiasmo della maestra, e più vado avanti più scopro le falsificazioni storiche che riguardano l'intera storia d'Italia (e sicuramente non solo) che sono servite a giustificare certe scelte, a mascherare certe colpe ecc. Per parlare solo dei Comuni: Barbarossa ricorse ai famosi giuristi di Bologna per risolvere la controversia sulle regalie, di cui i Comuni volevano impossessarsi, e i giuristi gli dettero ragione: ai Comuni non restò altro che fare la guerra, unendosi perché nessuno ce l'avrebbe fatta da solo, e unendosi solo per una guerra che oggi definiremmo di rapina, per il resto la guerra se la fecero fra loro. E dire che le autonomie comunali sono esaltate sia nella storia di ottica unitaria-risorgimentale che in quella più recente.

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