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mercoledì 28 settembre 2011

Condom...inium di genere


di Anna Lombroso

In giorni nei quali i vizi privati diventano pubblici vizi, ostentati con disinvolta leggerezza, nei quali i potenti si esibiscono con soddisfatto compiacimento in bravate sessuali, prevaricazioni omofobe e razziste, nei quali si fa esercizio quotidiano di un tracotante narcisismo, e sembra di vivere in un cinepanettone con barcon boldi e de sica, pur più contenuto nelle spese , ecco in questi giorni il coming out di che fa professione di civiltà e buona educazione è lodevole e può suscitare un certo compiacimento. In realtà la buona educazione come il “buon cuore” dovrebbe essere vissuta come una componente introiettata dell’indole e del comportamento, senza che la sinistra - e gli altri - siano tenuti a sapere cosa fare la destra (e adesso non sorridete della fine delle ideologie). L’”etichetta” nel tempo diventa il manifestarsi e il testimoniare, nella quotidianità, dei processi di civilizzazione, quando quello che veniva compiuto apertamente e colpiva sensibilità e vista degli altri, viene trasferito dietro le quinte. Ed era nelle cucine e non più a tavola e in pubblico, che si sventravano animali si tirava il collo ai polli e per traslato si consumava ogni ingiuria in luoghi deputati e negli arcana imperii.

Sarà quindi perché nel generale regresso il processo di civilizzazione si è fermato anzi torna indietro come i gamberi, che una letterina a babbo natale di “disertori del patriarcato” suscita con un certo ritardo un inspiegabile entusiasmo tra le signore della rete. Non entro nel campo delle percezioni: lo stile è quello un po’ viscido, che di solito si smaschera da sé, degli uomini che si autoproclamano “femministi” e che ricordano quegli antisemiti che dicono: razzista io? Ma se i miei migliori amici sono ebrei!, un tono untuoso, ipocrita e accattivante, infine accondiscendente, inteso, spesso, all’acchiappo più che all’autocritica. Ma si sa, viviamo tempi così bui che tocca accontentarsi, almeno sul versante stilistico.

Ma cascare nel trabocchetto dei contenuti, eh no questo è imperdonabile. Allora i precetti destinati a piacere a Lina Sotis più che a Luce Irigaray recitano l’invito reiterato e si spera anche il personale impegno a prendersi cura di se stessi e del proprio corpo senza demandare la responsabilità della nostra cura ad altre/i. Ad assumersi la responsabilità di mantenere e preservare le relazioni sociali: inviare biglietti di auguri, acquistare i regali per i nipoti, ricordare i compleanni, o anche solo organizzare cene per stare in compagnia. A ascoltare le donne, senza interrompere, senza smentire immediatamente, senza criticare o deridere solo perché sono donne. A fare attenzione a quanto si dà peso alle opinioni, alla parola ed alla presenza di altre soggettività: la mancata partecipazione di donne, trans e persone di diverse provenienze e/o vissuti ci vincola al paradigma patriarcale, eteronormativo e razzista. A imparare anche i gesti e le attività che sono di solito delegate sempre e solo alle donne. Ad eliminare le parole misogine e sessiste dal vocabolario – e dal proprio dialogo interiore. Ad essere sempre forniti di profilattico. A evitare qualsiasi attività sessuale che oggettivizza, sfrutta, ferisce o umilia le donne. A scegliere di avere rapporti sessuali esclusivamente con persone che siano consapevoli e consenzienti. Ciò significa che non siano ubriache, confuse, o impaurite. A risolvere eventuali conflitti in modo non violento, senza abusi, senza ritorsioni o vendette e senza coinvolgere chi non c’entra – soprattutto se si tratta delle figlie e dei figli. E infine, si legge: Troviamo un altro uomo da amare, in qualunque modo. Amico, padre, collega: proviamo a sentire, anche per scherzo, anche in una battuta, il rumore della parola “amore” detta a un altro uomo: facciamola uscire fuori e vediamo che effetto fa e mettiamoci alla prova, in questa come in altre situazioni.

Lo confesso per un po’ ho pensato che si trattasse di satira in rete, di una innocente presa in giro di Spinoza.it. Sostenuta e favorita da donne disincantate e spiritose. Quell’invito a girare sempre pronti ben equipaggiati di condom, anzi – ho omesso la citazione – la sollecitazione velata a indossarlo ancora prima di un ipotetico incontro, così per star più tranquilli, la raccomandazione a non infilare il calzino blu insieme alle lenzuola bianche nel carico della lavatrice, l’esortazione a fare largo impiego della parola amore fuori da paradigmi “etero normativi” mica pizza e fichi, e magari anche tre metri sopra il cielo, mi sembravano frutto di una irresistibile esercitazione di qualche incantevole spacconcello. E tutto sommato mi auguro ancora sia così.

Mentre mi dolgo che abbia incontrato tanta approvazione e soprattutto di genere. A cominciare proprio dal preservativo, perché mi pare che avessimo unanimemente maturato e condiviso la convinzione che le donne non devono delegare ad altri sicurezza, salute e rischio personale, senza fare una questione di principio su chi deve custodirne le “garanzie”.
E che proprio allo stesso modo, a proposito di scelte responsabili e libere, avessimo deciso – donne e uomini, insomma, persone – di non permettere a nessuno di interromperci, darci sulla voce, non tenerci in considerazione. Ma qui esuliamo dal decalogo e entriamo nella materia di quell’esplicito masochismo che se dei ceffi di quel genere li evitiamo in salotto e a letto, li subiamo invece in parlamento e al governo.
È che c’entra poco la fortuna, della quale peraltro sono una fan corrisposta, gli incontri non avvengono, non succedono, ce li “scegliamo, scegliamo quindi di essere oggetti e non anche soggetti d’amore, di tradimenti, di slealtà, di affetto, di emozioni, di solidarietà. Se abbiamo bisogno di un decalogo per sapere che dobbiamo evitare Andy Capp, ma anche La Vitola, temo che non abbiamo saputo esercitare nemmeno il quoziente minimo di autodeterminazione se subiamo di essere vittime per scelta. Perché uomini e donne lo sono inevitabilmente vittime, dell’iniquità, della violenza, della sopraffazione, della paura, ma è imperdonabile preferire chi ci condanna ad esserlo come per un destino contro il quale non si può combattere. Donne e uomini.

Forse tocca rispolverare l’educazione civica tanto irrisa: quello che serve è una liberazione dall’inciviltà, dall’ignoranza, dall’arroganza, dalla prevaricazione su chi è “altro”, donne, vecchi, stranieri, che comprende ovviamente anche una emancipazione culturale dal bigottismo e dal pregiudizio. Per essere davvero, donne e uomini, felicemente e pienamente persone nelle differenze.

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