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domenica 4 settembre 2011

Le lenticchie del Cavaliere


di Anna Lombroso

I caffè a Venezia sono degli osservatori formidabili della vita pubblica. Mio nonno da De Vidi in campo Santo Stefano ci teneva l’ufficio, riceveva clienti, a volte si avvicinava il cameriere ossequioso e discreto “ghe xe una telefonada per lu, maestro” e il nonno entrava e parlava a lungo all’apparecchio nero e sinistro appeso al muro. Da Venezia, diceva, prima o poi “tuti ga da passar” e seduto al caffè li osservi li ascolti qui tutti.

Ieri per esempio proprio in quel campo mi è successo di stare seduta accanto all’idealtipo dell’elettore convinto di questo governo. Un piccolo berlusconi posseduto dal demone del grande berlusconi. A vederlo un individuo tranquillo, anonimo, qualunquemente perbenista, ma animato da una ferocia belluina, da un livore bestiale, da una smania di sopraffazione originata dall’ansia di conservare piccoli privilegi. Per chi si accontenta sembrerà un ottimo marito, sembrerà un padre coscienzioso, sembrerà un figlio amorevole e probabilmente un nonno solerte e bonario. Ma in realtà lui è Berlusconi. Che non è un errore nel meccanismo di riproduzione del codice genetico del popolo italiano. E forse non è nemmeno la causa della malattia o dell’anomalia. È stato il sintomo, un fenomeno antropologico, il volto prestato a un tipo umano, un particolare genere di italiano, che è andato crescendo e moltiplicandosi al meglio nel processo di decostruzione sociale della vecchia Italia democratica e industriale, borghese e operaia, cattolica e comunista.

È l’abitante dell’Italia ospite spaesato della globalizzazione, dell’elettore consumatore d’immateriale, che spende il proprio voto come si spendono al mercato i propri soldi, per acquisire qualcosa di altrettanto incorporeo e privato: appartenenza, privilegi, micro-potere, sicurezza. Quella sicurezza iniqua e diffidente che piace a chi è merce tra le merci, una combinazione di possesso, di istanza di soddisfazioni immediate, di proprietà di beni superflui, di accumulazioni simboliche.

Ma c’è qualcosa di antico in lui, quel misto arcaico di clientelismo e delle prassi a lungo termine della Chiesa, di sottomissione e docilità nei confronti delle gerarchie sociali e di arroganza nei confronti dei più deboli. La ricerca di santi in paradiso, il ricorso alla spintarella, alla raccomandazione, mossa da un istinto perverso all’instaurarsi di rapporti patrono cliente, governati da una devozione da inferiore a superiore che non conosce limiti e rimorsi, ispirati da sottomissione e rassegnazione.
Guardandolo ieri il piccolo individuo più piccolo del piccolo Cesare, mi domandavo il perché della fedeltà a un sistema di potere che gli ha portato pochi benefici diretti. Il piatto di lenticchie con cui il premier l’ha comparto non è così ricco né così ghiotto. Perché a mangiarlo ci hanno pensato tutti i voraci famigli di quel ceto politico.

Ma quell’ometto perbene gode dello spirito del tempo, si è accomodato dentro a un sistema plasmato della corruzione, dal clientelismo e dal familismo che hanno prodotto una socializzazione di massa della pratica dell’irregolarità fino all’illegalità diffusa: raccomandazioni, prebende, mazzette e su su appalti, corruzione sistemica, connivenza con organizzazioni criminali. E d’altra parte anche lui tiene famiglia. Bobbio diceva che per la famiglia si sprecano impegno, energie e coraggio e così ne rimane ben poco per la società e lo Stato. È così per questi uomini tranquilli e coscienziosi, che si piegano al sacrificio anche della dignità per i loro cari, ma per i quali è troppo caro impegnarsi per il bene comune.

Ora sono spaventati, delusi, anche loro rischiano una perdita, quella dei piccoli beni al sole, dei piccoli privilegi ereditati per nascita. Così se la prendono con gli immigrati che hanno spruzzato in giro irregolarità e Tbc, con i politici gli altri che conservano favori e privilegi, con le donne che non stanno più al loro posto, con gli studenti, ma andassero a lavorare, con gli operai mai contenti, con i magistrati che invece di dirimere la bega del loro condominio fanno politica, con la politica che la politica non la fa più o la fa troppo. Scontenti, pieni di rancore, girano il caffè guardando passare il mondo e non vogliono accorgersi che sono passati loro.

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